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controapologetica
 
Monday, 29 April 2024
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                                Postilla sulla Missione

 

 

 

 

      Sono tutt’altro che rari nel VT, soprattutto nel libro di Isaia e nei Salmi, accenni alla signoria universale di Yahweh. Ma non mancano le contraddizioni.
      Se infatti in Is 44, 6 il “Signore degli eserciti” dice “Io sono il primo e io l'ultimo; fuori di me non vi sono dèi” (e cfr. ad es. Is 44, 25; 45, 21-22 e 48, 12), 1Cr 16, 24 ci assicura invece che “Tutti gli dèi degli altri popoli sono un nulla”: rigurgito di monolatria.
 
      Viene anche chiaramente affermato che un giorno il Signore si farà conoscere da tutti i popoli come unico Dio dell’universo. Siamo comunque di fronte ad un’estensione della Signoria di quello che resta pur sempre il Dio d’Israele, nell’ambito cioè di quelle che abbiamo definito “escatologie gerosolimitane”, in quanto indicano in Gerusalemme la sede della riunione finale di tutti i popoli:
 
      “Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo [...] li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera [...] perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli" (Is 56, 6 ss.)”.
 
      Solenne in particolare Is 66, 18-20:
 
      “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. 2Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme - dice il Signore -, come i figli d'Israele portano l'offerta in vasi puri nel tempio del Signore”.
 
      In altri casi l’iniziativa è dei popoli stessi:
 
      “"Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri". Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. 4Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli.” (Is 2, 3-4)    
 
      “Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te si prostreranno tutte le famiglie dei popoli.” (Sal 22, 28)  
 
      A volte questo trionfo di Yahweh viene dato addirittura come fatto acquisito:
 
      “Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d'Israele, è chiamato Dio di tutta la terra.” ( Is 54, 5)
 
      Più esplicito ancora Ml 1, 11:
 
      “Dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le nazioni e in ogni luogo si brucia incenso al mio nome e si fanno offerte pure, perché grande è il mio nome fra le nazioni. Dice il Signore degli eserciti”.
 
      Talora si invitano i popoli stessi a cantare le lodi del Signore, come se fossero già suoi fedeli:
     
      “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore, popoli di tutta la terra” (Sal 96, 1; e cfr. 1Cr 16, 24).
 
      Possiamo ancora considerare un passo di Isaia, appartenente al secondo dei canti del “servo di Yahweh”:
     
      “Mi disse: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra» (Is 49,6).”
     
      Qui in effetti parrebbe di vedere il preannunzio di un’opera di diffusione planetaria del culto di Yahweh. Ma tutto viene predicato di un singolo uomo, non del popolo, e soprattutto è visto come coronamento di una ricostituzione dello stato di Israele. Israele ante omnia, insomma, come sempre. E l’accenno resta comunque isolato, come sortita estemporanea che non si può in alcun modo inserire in un progetto coerente, o almeno in un suo abbozzo.
 
      Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma il quadro non cambierebbe: quel che manca completamente, rispetto al NT, è il carattere essenzialmente missionario della religione stessa.
      I più intimi discepoli di Gesù, da lui personalmente scelti, sono infatti “apostoli”, uomini cioè destinati ad essere “inviati” ad evangelizzare. I vangeli ci parlano di una specifica missione affidata loro dal Redentore (Mt 10, 1.5-14; Mc 6, 7-13; Lc 9, 1-6), a cui si aggiunge quella “dei settantadue” (Lc 10, 1 ss.); e a Pietro Gesù dice subito: “d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5, 10).
 
      Il cristianesimo in sostanza nasce come religione dell’annuncio, del kérygma, che deve raggiungere quanti più uomini possibile: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 15, 16).
Diventano irrilevanti i confini politici e le differenze etniche: l’imperativo religioso prevale su ogni altro fattore.
      E, a parte subjecti, nel cuore del vero credente che ha sperimentao la gioia inesprimibile dell’incontro con Cristo, nasce il desiderio irrefrenabile di farne partecipe il suo prossimo. Niente di tutto questo, chiaramente, nel VT.
 
      Una conferma dell’atteggiamento radicalmente diverso del giudaismo su questo punto si potrebbe vedere anche nella storia successiva del popolo ebraico, ripiegatosi su se stesso per chiudersi ad ogni influsso esterno. Ma una prova “interna” ce la offre la Scrittura medesima, che, come ricordiamo altrove, ci presenta i due di Emmaus e poi tutti quanti i discepoli - nell’imminenza dell’Ascensione descritta negli Atti - in ansiosa attesa che Gesù “ricostituisca il regno d’Israele”.
 
      Ci pare quindi di poter concludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la missionarietà caratterizzante fin dall’inizio il cristianesimo è praticamente sconosciuta all’AT. 

 

 

 

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